Le onde sonore nell'Acerba

 

L’Acerba è una vera e propria Enciclopedia Scientifica Medievale e come tale parla dei fenomeni naturali. In molti casi quello che dice Cecco coincide con quello che dice la Fisica attuale (abbiamo già visto il caso dell’arcobaleno), in altri si risente il fatto che stiamo in pieno Medioevo con tutte le credenze che ne conseguono.

 Parliamo ad esempio delle onde sonore.

Nel Libro I, che tratta i fenomeni naturali, al paragrafo VIII  (vv 553-558 tratti da L’Acerba a cura di Achille Crespi):

Insieme è il fuoco alle infuocate orme,   

Ma avvenga che la luce avanzi il scoppo,

Paion due tempi con diverse forme:

E ciò fa il viso ch’è innanzi l’udito,

Chè l’alma agli occhi va dappresso troppo:

Però il nostro vedere è troppo ardito.

Cecco cerca di spiegare un fenomeno che avviene durante i temporali: prima si vede la luce del lampo e poi si sente il suono del tuono: Cecco intuisce che i due fenomeni nascono contemporaneamente, anche se sembra che avvengano in tempi successivi, egli invece di attribuire la precedenza della sensazione luminosa a quella acustica ad una diversa velocità delle onde (l’onda luminosa è di gran lunga più veloce di quella sonora), l’attribuisce all’animo umano che dà la precedenza alla vista che quindi è più pronta dell’udito.

Nel libro IV, paragrafo IV, dedicato ai “Problemi sulla temperatura e sui  moti dell’aria”, si torna a parlare di onde sonore questa volta a proposito della riflessione di queste e cioè dell’eco  (vv 3721-3726 tratti da L’Acerba a cura di Achille Crespi):

“Perché chiamando in Ascoli tu senti,

Presso alle mura delle oneste donne,

Con simil voce rispondere i venti ?”

Dico che l’aria questa voce porta,

trova l’opposto che riflette l’onne

Sì che la voce torna qui ritorta.

Questa volta Cecco parla della riflessione dell’onda acustica proprio come si legge nei libri di Fisica.

Piuttosto ci sono fare due osservazioni.

La prima è che il quarto libro è composto tutto da domande e risposte; Cecco immagina che un allievo lo interpelli sui più svariati argomenti di scienza naturale e morale (le domande sono poste fra virgolette) e lui risponde talvolta anche in modo scherzoso.

La seconda è che Cecco appena può, torna con il pensiero alla sua città natale, alla sua casa paterna nei pressi delle mura di Porta Romana, dove sorgeva un monastero di clarisse con la piccola chiesa, ancora presente, Santa Maria delle Donne.

Ancora sulle onde sonore ed in particolare quelle prodotte dalle campane che suonano. Nel libro IV, paragrafo V, dedicato ai “Problemi di fisica e meteorologia” (vv 3867-3877 tratti da L’Acerba a cura di Achille Crespi):

 

“Perché d’estate nelle gran tempeste,

La gente suona a stormo le campane ?”

Chè il suono rompe l’aria e toglie peste,

Anche ti dico gli angeli maligni,

Invidiosi delle genti umane ,

Fanno tempeste per certi disdigni,

 

Sì chè, sonando le divine tube ,

Fugge lor setta come gente rotta,

Questo segreto Dante non conube.

Sicché invano, dico, non si suona

Ogni campana tempestando allotta,

Secondo che il mio detto ti ragiona.

 

La domanda che l’allievo pone a Cecco è molto chiara “Perché si suonano le campane quando in estate il cielo minaccia una violenta pioggia ?”

Cecco risponde “Chè il suono rompe l’aria” ma poi invece di continuar nella spiegazione sugli effetti fisici della “rottura” dell’aria (allontanamento dei fulmini e della grandine) preferisce parlare di un altro prezioso effetto del suono e cioè quello di distanziare la pestilenza. I due argomenti sembrano separati ma Cecco li riunisce dato che i veri artefici di ogni tempesta (temporali o peste) sono gli angeli maligni o diavoli che scatenano queste tempeste per il semplice fatto che sono invidiosi delle umani genti.

Cecco ci tiene a precisare che “Questo segreto Dante non conube” cioè Dante non conosce il benefico effetto del suono delle campane. In effetti Dante nelle Rime (CXI - Io sono stato con Amore insieme) dice che chi pensa di vincere l’amore con la ragione:

 

fa come que’ che ’n la tempesta sona
credendo far colà dove si tona
esser le guerre de’ vapori sceme.

E’ chiaro dunque che Dante, almeno nelle Rime fosse contrario al suono delle campane come rimedio ai temporali.

Nel Purgatorio  (Canto V)  Dante si avvicina poi molto alle tesi di Cecco quando parla della potenza  degli angeli del male quale origine di tutte le tempeste. Ma questo deve essere sfuggito a Cecco.

Torniamo un attimo alla parte “scientifica” dell’argomento  e quindi all’efficacia delle onde sonore prodotte dalle campane. Cecco avrà sicuramente conosciuto il motto inciso su molte campane del suo tempo:

Deum laudo, vivos voco, mortuos plango, fulgura frango”

e condivideva l’idea che il suono delle campane potesse “frangere le folgori”; d’altra parte scrive “il suono rompe l’aria”, ma non c’è però alcuna spiegazione scientifica né alcuna prova della efficacia del suono sui fulmini. Un po' diverso è il discorso sulla formazione della grandine. Basta pensare che fino ad alcuni anni fa i contadini per evitare la grandine facevano esplodere dei razzi terra-aria e che ancora  oggi esistono cannoni antigrandine ad onda d’urto. Il principio fisico per il quale i forti rumori come le esplosioni o il suono delle campane vanno ad incidere sulla formazione della grandine non è ancora dimostrato scientificamente, ma è ampiamente provato dalla tradizione.